
Nuovi testi di e su Sartre
La Critica della ragione dialettica II
Estratto dall’aggiornamento di Claudio Tognonato all’Introduzione a Sartre di Sergio Moravia, Laterza ed., Roma 1997.
Leggi anche
La storia della critica (1972–1997)
Il progetto di una nuova riflessione morale
Il secondo tomo della Critique (1) non è altro che la continuazione dell’opera edita nel 1960. Si tratta di un lavoro non rifinito, non corretto né portato a termine, e che è rimasto inedito per più di trent’anni, fino al 1985. Sartre autorizzò la pubblicazione di tutti i suoi lavori incompiuti solo dopo la sua morte (2).
Se la fondazione di una metodologia efficace per la comprensione dei processi storici era stato uno degli obiettivi centrali della prima parte, il tentativo di realizzare uno studio concreto della realtà utilizzando i risultati teorici precedentemente raggiunti doveva essere il seguito del vastissimo lavoro. Sembra che Sartre abbia interrotto la sezione della Critique, poi pubblicata alla fine della cosiddetta "analisi regressiva", fermandosi alla fase della "totalizzazione sincronica" ma senza addentrarsi ancora in quella "diacronica" (3). Il movimento regressivo doveva dunque essere integrato da una progressione sintetica della temporalizzazione pratica che sarebbe dovuta partire "dall’ultimo problema posto dall’esperienza regressiva" per giungere al suo completamento nel duplice movimento sincronico-diacronico, fondamento medesimo dell’andamento non circolare della Storia.
Sartre definisce la prima parte della Critica come una riflessione "ancora formale", indicando poi il percorso che avrebbe seguito non solo nell’incompiuto secondo tomo, ma anche in molte analisi intorno alla situazione politica e sociale, analisi in cui avrebbe messo alla prova i risultati metodologici conseguiti.
"Ha un senso la Storia ?": questa è secondo Arlette Elkaïm-Sartre, curatrice dell’edizione della Critica II (4), la domanda che guida tutta la ricerca intrapresa da Sartre e che lo ha spinto a scrivere il secondo tomo. Il piano dell’opera prevedeva due grandi tronconi: uno doveva prendere in esame la totalizzazione sincronica, l’altro la totalizzazione diacronica. Il primo, a sua volta, doveva svilupparsi attraverso l’analisi di due esempi: a) la società russa dopo la rivoluzione (società dittatoriale); b) le democrazie borghesi (società non dittatoriali). Si può dire che solo il primo esempio è stato interamente trattato nel testo, mentre il secondo è rimasto solo allo stato di abbozzo. Comunque, da alcuni quaderni di note scritti intorno al 1961-62 -aggiunti in allegato al testo- si può desumere l’ampiezza dell’analisi che Sartre intendeva intraprendere.
E’ possibile l’intelligibilità della Storia? Se questa è il prodotto della totalizzazione di tutte le singolarità, di tutte le molteplicità pratiche, e di tutte le loro lotte, il risultato di tale complessità dovrà pur essere compresoanche dal punto di vista sintetico. Solo cercando le condizioni di intelligibilità dei processi potremo arrivare ai motori in virtù dei quali la storia medesima si fa senza soluzione di continuità.
Essendo l’opera incompiuta, la domanda e i problemi di cui sopra restano privi di risposte esaurienti. Le oltre 400 pagine di Critica II non bastano per raggiungere l’obiettivo che Sartre si era posto. Gran parte della sezione fino allora inedita del testo sartriano si limita all’analisi di un caso: quello della società sovietica in un ben preciso momento della sua storia. Bisogna comunque ricordare, come sostiene Ronald Aronson, che anche l’obiettivo di questa parte della Critica resta essenzialmente filosofico. Sartre vuole costruire un modello di dialettica flessibile, in grado di liberarsi dai quadri teorici del marxismo dogmatico stalinista. D’altra parte occorre aggiungere che non si tratta nemmeno dell’analisi di un caso storico concreto impiegato solo per l’elaborazione di una determinata costruzione teorica. Lo scopo ultimo di Sartre è in realtà anche politico: "Se la dialettica è rimasta fissa, congelata -scrive Aronson- bisogna chiedersi per quale ragione si è fermata. In Sartre la risposta non è affatto teorica: si tratta della storia stessa della dialettica nel primo Paese dov’essa è stata vincente." (5)
Per spiegare le condizioni d’intelligibilità del conflitto verificatosi entro la società sovietica, Sartre parte da un’analisi teorica dove viene preso in esame il rapporto lavoro-conflitto in quanto costitutivo della storia umana, e cerca d’individuare la sua struttura all’interno della lotta di classe. Egli mette l’accento soprattutto sulla specificità della contesa in cui ogni soggetto storico esprime, nella sua irripetibile singolarità, la complessità dell’universo sociale di cui è parte. In questo contesto appare centrale la nozione di "pratica deviata".
Le diverse modalità del conflitto sono riprodotte attraverso lo schema della teoria dei giochi, in rapporto alla quale Sartre si serve dell’esempio di un match di boxe. Lo scontro storico-sociale è infatti spiegato secondo la dinamica di combattimento tra due pugilatori. Come totalizzazione storica singolare, il match si configura come la competizione tra due individui con due opposti progetti che si escludono a vicenda, e nella quale i due soggetti cercano entrambi l’annullamento dell’avversario. Sartre tiene a precisare come i boxeurs professionali siano nella stragrande maggioranza dei casi degli sfruttati che provengono dai ceti bassi della società. L’esempio riportato appare soprattutto come una sorta di "caricatura visibile del salariato", che viene allenato per ottenere la massima efficacia distruttiva.
Nel seguire le singole mosse dei boxeurs osserviamo, secondo Sartre, un solo movimento di due corpi, corrispondente all’interazione di due progetti che si contrappongono. L’unità reale dello scontro viene imposta dall’esterno. Sono infatti gli spettatori che possono "totalizzare" la lotta considerando uno dei contendenti il "soggetto" e l’avversario come "oggetto pericoloso". Finito il combattimento, gli spettatori potranno forse dire "è stato un bel match", facendo di questo scontro una totalità che ha un senso e un valore al di fuori di ciò che ognuna delle parti in lotta considerava la sua chance. I due antagonisti sono così ricomposti, al di là delle loro differenze individuali, in un "insieme pratico". Da questo punto di vista il combattimento può acquisire, al di là della sua percezione soggettiva da parte dei due contendenti, anche una lotta oggettiva, un fatto obiettivo di totalizzazione reciproca e negativa. E’ proprio a questo punto che tale "insieme pratico" assume, per Sartre, le condizioni dell’intelligibilità dialettica.
"Vi è contraddizione, insomma, in ogni momento dell’azione, in quanto questa esige, nello stesso tempo, la totalizzazione e la particolarizzazione (d’un settore, d’uno stato, d’un dettaglio, ecc.) : ed è come struttura originaria della prassi che la contraddizione è intelligibile e fonda l’intelligibilità di essa stessa (6)." Le contraddizioni costituiscono un’unità temporale dove la nozione di conflitto risulta profondamente concatenata a quella di totalizzazione. Il contrasto è il momento della lacerazione tra le parti, ma è anche il momento unitario a partire dal quale si rende possibile l’intelligibilità dialettica. Mentre il pensiero dogmatico vuole fissare rigidamente conflitti e contraddizioni -che invece sono solo momenti di una totalizzazione in atto- il metodo critico consente invece una totalizzazione dinamica aperta: una "totalizzazione non totalizzante".
L’esempio del match di boxe mette inoltre in luce come il singolo conflitto esprima l’incarnazione dialettica di una violenza umana latente che porta in sé l’ambiguità del suo opporsi a ogni totalizzazione e, nello stesso tempo, il suo appartenere come "singolarità universalizzata" alle determinazioni storiche della sua epoca. Dirà Sartre : "tutte le nostre violenze sono là, sostenute dalla violenza fondamentale da cui esse derivano, tutto si svolge nell’insostenibile tensione della rareté . Ma i differenti progetti che concorrono a produrre l’evento (...) attraversano campi di mediazione che sono essi stessi universali concreti e li totalizzano singolarizzandoli : questo significa che essi li conservano come la qualità singolare del movimento che li supera."(7)
Dunque per Sartre il risultato dell’opposizione è opera di entrambe le parti in conflitto. La contraddizione non si risolve hegelianamente nell’imposizione totale di un termine sull’altro ma in una "deviazione della prassi". Il confronto implica sì una lacerazione tra le parti, ma anche una "riconciliazione dei contrari" dall’esito e dal senso per più versi imprevedibile. Il risultato della lotta sarà dunque, come si è accennato sopra, una "prassi deviata": un processo nuovo che nasce dall’uomo e che insieme gli sfugge, una prassi che diviene altro, travalicando il progetto delle singole parti. L’essere umano è l’agente di una storia che continuamente gli si sottrae. La ragione storica dovrà dunque ripensare criticamente i conflitti e le contraddizioni che considerava concettualmente conciliate. Il reale superamento del conflitto richiede infatti di aprire ogni volta una nuova fase d’interpretazione, in quanto la prassi vincente non sarà mai quella che il singolo progetto voleva imporre.
La parte centrale della Critique II è dedicata, come avevamo accennato, all’analisi della società sovietica. Qui si confrontano due progetti contrapposti : quello della costruzione del socialismo in un solo Paese e quello della rivoluzione permanente. Una contraddizione che si incarna nel conflitto tra Stalin e Trotsky. Benché ambedue siano preoccupati della fragilità della rivoluzione, il primo vuole proteggere tutto ciò che è già stato acquisito, il secondo pensa invece che per salvaguardarla occorre propagarla. Stalin pensa al socialismo in un solo paese, Trotsky all’internazionalismo. Per Sartre la situazione ha lacerato ciò che doveva essere visto in modo unitario. Vi è una intrinseca interdipendenza tra i due progetti che va interpretata alla luce di quanto veniva prima teorizzato come "deviazione della prassi".
In conclusione si può dire che tra il primo e il secondo tomo della Critique vi è una continuità teorica e politica che mira alla rifondazione dell’eredità marxista. In questo senso è sostenibile che l’abbandono della seconda parte dell’opera deve essere messo in correlazione più con la crisi del rapporto tra Sartre e i comunisti, che non con una impasse teorica del filosofo.
1. Jean-Paul Sartre, Critique de la raison dialectique, Tomo II, a cura di Arlette Elkaïm-Sartre, Gallimard, Paris 1985 (L'opera non è stata ancora tradotta in italiano). Testo ^
2. Confesserà a Michel Contat il perché di tale decisione: "Pubblicati dopo la mia morte, questi testi rimangono incompiuti, così come sono, oscuri, poiché in essi formulo delle idee che non sono completamente sviluppate. Sarà compito del lettore interpretare dove avrebbero potuto condurmi." Cfr. Jean-Paul Sartre, Autoritratto a settant'anni, a cura di Michel Contat, Il Saggiatore, Milano 1976, p.88. Testo ^
3. "Abbiamo, sinora, tentato di risalire fino alle strutture elementari e formali e -in pari tempo- abbiamo fissato le basi dialettiche di una antropologia strutturale. Bisogna lasciare ormai che tali strutture vivano liberamente, s'oppongano e si compongano tra loro : l'esperienza riflessiva di questa avventura ancora formale sarà oggetto del nostro secondo tomo. Se la verità dev'essere una nella sua crescente diversificazione d'interiorità, rispondendo all'ultimo problema posto dall'esperienza regressiva, scopriremo il significato profondo della Storia e della razionalità dialettica." Cfr. Jean-Paul Sartre, Critica della ragione dialettica. Il Saggiatore, Milano 1963, vol.II p. 468. Testo ^
4. E' importante tenere conto che i titoli, i sottotitoli e l'organizzazione del testo non non sono stati elaborati da Sartre ma, appunto, da Arlette Elkaïm-Sartre. Testo ^
5. Cfr. Ronald Aronson, "Sartre sur Stalin", Etudes sartriennes IV, Cahiers de Sémiotique Textuelle 18, Université de Paris X, Paris 1990, p.89. Testo ^
6. Critique de la raison dialectique, tomo II, op. cit., p.12. Testo ^
7. Ivi, p. 58. Testo ^
Inizio pagina ^