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Albert Camus

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Albert Camus. Tra l'Assurdo e la Misura

di Antonio Carnicella


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(Abstract - Corso di Laurea in Filosofia - Università degli Studi Roma Tre - a. a. 2000-2001)

Per una filosofia del rischio

La vita di Albert Camus è racchiusa tra le due sponde del Mediterraneo, quella sud, che gli ha dato i natali nel 1913 (all'alba di quella che Hobsbown chiama "l'Età degli estremi") e l'amore per la vita, e quella nord, in cui ha combattuto, trovato il successo e la morte prematura nel 1960, in piena Guerra Fredda, a soli 47 anni, con un'attività ancora tutta in divenire in cui voleva esprimere la sua parte migliore. Entro queste coordinate geografico-temporali si sviluppa l'opera di un uomo, e di un intellettuale, che ha vissuto in prima persona i drammi del XX secolo, lasciando in eredità uno spirito che, in nome del bonheur, lotta contro l'Assoluto e l'Ingiustizia.

La radice di questa attività va rintracciata sulla riva algerina del Mare Nostrum, lì dove il sole, il mare, il corpo, la vita libera e nuda, l'amicizia e la povertà sono ricchezze senza prezzo e costituiscono tutto ciò che rende un'esistenza degna di essere vissuta. "Ho iniziato con la pienezza", dice egli stesso, ma questa felicità originaria è stata ben presto messa in questione dal confronto con la malattia e la morte, nonché da un Dio sordo alle richieste umane di aiuto. Ricercando una via d'uscita alla tragicità della vita, Camus percorre una strada parallela a quella della filosofia esistenzialista, dalla quale lo distacca una diversa concezione della natura e della storia e della quale ritiene false le conclusioni.

La stessa concezione di assurdo separa Camus da Sartre. Se per quest'ultimo l'assurdo è dato dalla mancanza di fondamento dell'esistenza, per Camus esso è la contraddizione tra il silenzio del mondo e la richiesta umana di unità, è il difetto logico che separa la morte dalla felicità; una contraddizione non si può eludere, saltare, nascondere dentro un sistema, perché svuota di senso tutto ciò che trova sulla propria strada. Tuttavia non si può neanche lasciare che invada il reale e trasformi la vita in quel deserto che corrisponde alla patria del nichilismo.

A favorire l'opera di questo fantasma che sconvolge l'Occidente non è tanto l'assurdo in sé, quanto l'incapacità umana di raccogliere la sua sfida, di trovare unità e valori in un mondo che non ne ha. Stante questa incapacità, il nichilismo s'impone sia attraverso l'opera di falsi assoluti, che offrono un éschaton lontano in cambio del sacrificio dell'oggi, sia grazie al "tutto è permesso", la legge morale di Kirillov ed Ivan Karamazov che fa nascere l'uomo-dio, il quale sprigiona la sua vuota potenza nella completa negazione della società.

L'opera di Albert Camus, allora, non è che un grido di rivolta contro l'ingiusta condizione umana, avversata dall'assurdo, che infrange la pienezza della felicità, dalla morte, che pone fine alla vita, e dall'uomo stesso, che per servire i propri ideali o il proprio ego si trasforma in carnefice. Ecco il giovane reporter di "Alger Républicain", espulso nel '37 dal Partito Comunista per la sua attività in favore dei lavoratori algerini, denunciare nel '39 le miserie della popolazione cabila e l'ingiustizia della politica coloniale francese.

Esiliato dalla sua terra natale, egli continuerà la sua battaglia in "Combat", il giornale della Resistenza, e, terminata la guerra, leverà la sua voce in favore di una vera unità tra gli stati d'Europa ed in difesa della giustizia e della libertà contro il regime di Franco, contro la dittatura di Stalin e le catene imposte dai regimi comunisti, contro le promesse del capitalismo senza regole, contro la pena di morte, contro la falsa coscienza dei contemporanei e contro la guerra d'Algeria, laddove auspicava la nascita di uno stato federale che riunisse le diverse comunità nazionali sotto la stessa bandiera e con uguali diritti.

Dal suo privilegiato osservatorio sul mondo, in cui era stato posto sin dalla gioventù dal mestiere di scrittore, Camus, come afferma anche nel discorso pronunciato nel '57 davanti all'Accademia di Svezia al momento di ricevere il premio Nobel, non pone l'arte al di sopra di tutto, non la considera una gioia solitaria, "ma un mezzo per emozionare il più grande numero di persone offrendo loro una immagine privilegiata delle sofferenze e delle gioie comuni […] che sottomette l'artista "alla verità più umile e più universale […] L'artista si forgia in questo andirivieni perpetuo da lui agli altri, a metà strada tra la bellezza di cui non può fare a meno e dalla comunità dalla quale non può allontanarsi" […] Il ruolo dello scrittore non è di "mettersi al servizio di coloro che fanno la storia: egli è al servizio di coloro che la subiscono".

In Ritorno a Tipasa, scrive la frase che meglio sintetizza quella concezione della vita, dell'arte e della filosofia che gli ha permesso di attraversare anni così difficili per l'Europa e per il mondo: "sì, c'è la bellezza e ci sono gli umiliati. Per difficile che sia l'impresa, vorrei non essere mai infedele né all'una né agli altri".

Questa riflessione, che vuole rappresentare il rapporto simbiotico di Camus con la cultura, la politica e le idee filosofiche del suo tempo, vuole altresì introdurre la tesi di Laurea Albert Camus. Tra l'Assurdo e la Misura. L'idea che la percorre dall'inizio alla fine è quella di strappare questo autore, troppo a lungo dimenticato, da quell'angolo della libreria in cui si trova la "letteratura dell'Assurdo" per riproporre l'attualità della sua lezione. Infatti, lo spirito con cui ha affrontato l'assurdo, il nichilismo, la contraddizione, la violenza e la vertigine della distruzione, è quello di chi "vuole cominciare ad individuare tra le buie pareti entro le quali ci aggiriamo a tentoni", come afferma in una lettera indirizzata a "Le Libertaire" del maggio 1952, "i luoghi ancora possibili ove possano spalancarsi le porte. Solo la rinascita m'interessa".

Tale rinascita è affidata alla scoperta di valori indipendenti dal soccorso dell'Eterno e dal pensiero razionalista che possano comunque portare speranza, solidarietà, amicizia e amore, valori che salvaguardino la dignità umana rendendo possibile la convivenza in un mondo che la morte di Dio ha lasciato senza un senso assoluto e con poche certezze e dove l'Io ha perso la propria centralità. Questi valori, scrive nella lettera citata, dobbiamo ritrovarli "in noi stessi, nel cuore della nostra esperienza, cioè all'interno della nostra rivolta […] Se non ci riusciamo il mondo crollerà, e forse questo altro non sarebbe che giustizia, ma noi saremo prostrati ancor prima di tale crollo, e questa sarebbe un'infamia".

Il cuore della rivolta, cui questa tesi vuole dare risalto e dove si annidano tali valori, è quella mistica laica che, dal titolo dell'ultimo capitolo de L'uomo in rivolta, possiamo chiamare il "Pensiero Meridiano", un pensiero che egli stesso definisce "solare o filosofia dei limiti, dell'ignoranza calcolata e del rischio". Questo pensiero, che trova le proprie radici nel Mediterraneo, un mare che ha visto il sorgere, lo scontro e l'incontro di civiltà tanto differenti quanto vicine, intende l'esistenza come un tutto nel quale le differenze vengono armonizzate non superate, dove le individualità permangono in un coro dall'equilibrio fragile e necessario.

Camus, dunque, ripropone la filosofia del limite cara alla tradizione dell'antica Grecia, in cui la misura è sinonimo di bellezza, giustizia, libertà, povertà e solidarietà: in una sola parola, d'amore.


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