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La Repubblica - 22 giugno 2005 - p. 42

In Francia è un cattivo maestro, ma non così nel mondo
Povero Sartre incompreso in Patria
Il posto del jazz e del romanzo americano - Un pensiero nuovo per la dignità dell'Africa

di Annie Cohen-Solal
traduzione di Anna Bissanti
© 2005 Annie Cohen-Solal (Agenzia Luigi Bernabò Associates)


I primi mesi dell' anno 2005, in cui ricorre il centenario della nascita di Sartre (ndr che cadeva ieri), sono stati l' occasione ideale per osservare un fenomeno che dalla morte dello scrittore, avvenuta nel 1980, è oggi diventato quanto mai eclatante: lo strano contrasto tra il modo in cui Sartre è accolto in Francia e quello col quale è accolto nel mondo, pressoché colpito da scomunica da noi, riferimento obbligato altrove.

Mentre a partire dal mese di gennaio la stampa francese ripeteva come un disco rotto sempre i medesimi cliché, stigmatizzando un Sartre cattivo maestro, intellettuale démodé o addirittura impostore, al contrario gli omaggi a lui dedicati, provenienti dalla maggior parte dei paesi europei, d' Africa, d' Asia e delle due Americhe concordavano su un punto: che il messaggio di Sartre resta sempre per loro un punto di riferimento per decifrare la nostra epoca e che, a distanza di oltre venticinque anni dalla sua morte, la sua opera suscita ancora il medesimo interesse.

Questi intellettuali stranieri quali elementi della traiettoria sartriana, che paiono passare inosservati ai francesi, individuano dunque oggi? Hanno intuito che Sartre, figlio della borghesia, avvertiti sin dal 1925 nel corso dei suoi anni alla Scuola Normale Superiore i limiti della tradizione universitaria francese, reagì a modo suo: interessandosi a forme estetiche percepite come meno nobili, come il cinema, e ad altre culture, percepite come meno antiche, come la cultura americana.

Con quell'atteggiamento da discepolo sovversivo che avrebbe contrassegnato tutta la sua vita, lanciò le sue critiche contro l' istituzione filosofica, rifiutandosi di iniziare la carriera universitaria e trasferendosi a Berlino per realizzare la propria esigenza di pensare al presente e di esplorare nuovi cammini più conformi alle sue aspettative. Hanno intuito che Sartre si interessò al romanzo americano sperimentale dell' epoca, che scoprì le opere di Dos Passos, di Faulkner e di Melville, descrivendo più tardi quel periodo come un momento di apertura e rigenerazione folgoranti, un' «autentica rivoluzione non euclidea».

«Tutto a un tratto ci è parso che avessimo imparato qualcosa, e che la nostra letteratura fosse in procinto di uscire dalle nostre consuete routine. Istantaneamente, per centinaia di giovani intellettuali, il romanzo americano ha preso posto, insieme al jazz e al cinema, tra i migliori prodotti di importazione in provenienza dagli Stati Uniti».

Hanno intuito che all' indomani della seconda guerra mondiale, grazie ai due soggiorni effettuati negli Stati Uniti in quegli anni così determinanti, egli poté prima di chiunque altro osservare il delinearsi dei nuovi equilibri, e riflettere sul divenire della cultura europea e della civiltà occidentale dal punto di vista dell' «europeo quarantacinquenne», descrivendo la cultura come «la riflessione su una situazione comune» e «il paesaggio della città mutilata» come «un' architettura umana comune all' Europa». Egli avvertì «la necessità di riequipaggiarsi, nonché l' impossibilità di rivolgersi ad altri che agli americani» per farlo.

Hanno intuito che a partire dal 1948, facendo leva sull' affermazione che «il bianco ha goduto per tremila anni il privilegio di vedere senza essere visto», andò conferendo ai continenti ignorati - come l' Africa, «invisibile, fuori mano, continente immaginario» - tutta la loro dignità, e sviluppò quindi a partire da allora un pensiero post-coloniale che servì da ossatura portante per tutti i movimenti di decolonizzazione che elaborarono la loro presa di coscienza successivamente. Egli si impegnò a istituire un Tribunale, la cui unica «legittimità derivava al contempo dalla sua completa impotenza e dalla sua universalità».

Nello stesso periodo, mettendo ben in rilievo come ne prendeva le distanze, aggiunse: «Non dobbiamo considerare l' America come il centro del mondo. E la più grande potenza del mondo? Lo riconosco, ma attenzione: è lungi dall' essere il centro del mondo. Quando si è europei si ha senz' altro il dovere di non considerare l' America il centro del mondo. Perché l' America è altresì la potenza più vulnerabile del mondo e il mondo non l' ha scelta perché diventasse il suo centro di gravità». Hanno intuito che nel 1971, in seguito alle interdizioni spiccate nei confronti dei giornali maoisti, e dopo la scoperta delle menzogne provenienti dalle fonti di informazione tradizionale, Sartre fondò l' Agence de Presse Libération, per «dare la parola ai giornalisti che vogliono dire la verità, alla gente che vuole sapere la verità, e al popolo». Hanno intuito che a partire dal 1929 egli instaurò con Simone de Beauvoir una vita di coppia che anticipava le famiglie ricomposte: complicità tanto affettiva che politica, equilibrio e onestà a lungo termine. Sartre propose dunque a tentoni l' elaborazione di nuove configurazioni, altrettanti tentativi che, come tutte le esperienze antesignane, furono ovviamente inficiati da tentennamenti, goffaggini, persino eccessi.

Del resto, tuttavia, come essere al riparo da errori quando si sperimenta? Come comprendere di conseguenza questo contrasto eclatante nella valutazione dell' opera sartriana in Francia, dove essa è colpita da anatema, e all' estero? In un' intervista del 1967 Sartre forse ci dà egli stesso una chiave di interpretazione per rispondere a queste domande. Nel corso di una frase egli proclamò: «Lutero disse: "Tutti gli uomini sono profeti"».

E se Sartre, che parlava a nome di questi valori protestanti trasmessigli da suo nonno Charles Schweitzer, nella radicalità di una certa esigenza di eticità restasse inammissibile in una Francia di tradizione cattolica e refrattaria a confrontarsi con le sue stesse ferite? E se invece fosse nel nome di questi valori protestanti che Sartre riproponeva tabù della memoria collettiva francese come il collaborazionismo, il razzismo, la tortura, il colonialismo, altrettanti traumi nazionali che non sono stati indagati per molto tempo se non da ricercatori stranieri come Paxton o Marrus, per esempio?

Profetico, sovversivo, fiducioso nella società civile, Sartre fu in prima linea per sviluppare una cultura alternativa, tuttora viva. Se oggi il Paese di Voltaire, di Diderot, di Montesquieu, di Hugo e di Zola è incapace di soppesare l' apporto di Sartre e continua a cercare di fare le pulci a Socrate, paradossalmente è dalle due Americhe che ci arriva l' eco di due filosofi onorari i quali, come Cornel West negli Stati Uniti o Antanas Mockus in Colombia, fanno quotidianamente riferimento a Sartre come a una sorta di bussola etica che prima di chiunque altro vagheggiò il mondo multiculturale e post-coloniale nel quale noi oggi viviamo.

Del resto, non è stato Sartre colui che descrisse la cultura come «uno scambio ininterrotto, che conduce le nazioni a riscoprire presso le altre ciò che esse hanno inventato e poi ripudiato?».

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