
Recensioni
Marcella D'Abbiero, Jean-Paul Sartre: un cogito che soffre e che ama
in Marcella D'Abbiero (a cura di), Desiderio e filosofia, Milano, Edizioni Angelo Guerini e Associati, 2003.
A cura di Antonio Carnicella
Nel saggio l'autrice torna sul presupposto fondamentale del pensiero sartriano, per cui il modo d'essere della coscienza è quello di trascendersi continuamente, di andare verso l'essere, perché non ha contenuto, è vuoto.
Ora, se la coscienza deve attingere un oggetto nel mondo, affinché essa sia conoscenza di tale oggetto, scrive Sartre ne L'essere e il nulla, è "che sia coscienza di sé in quanto è questa conoscenza, per cui, ogni coscienza posizionale dell'oggetto, è nel medesimo tempo coscienza non posizionale di se stessa".
È questa coscienza non tetica, abitata dall'altro da sé che proviene dal mondo e quindi emotiva, desiderante, ad essere il presupposto della riflessione e, a seguire, della coscienza tetica, razionale. Ad essa, fondamentalmente impregnata di elementi affettivi, si può riconoscere il ruolo di unità di diversi che permette all'individuo di mantenere se stesso nella molteplicità dei vissuti.
Quest'unità è "un'invenzione geniale", scrive l'autrice, la "mente", oppure "sé", "soggetto", è la prima certezza di sé ed è ciò che permette di sentire e avere esperienze, è "l'attività mentale improntata al desiderio di ottenere, o mantenere l'unità con sé". Inteso in questo modo, il "per sé", sempre gettato nel mondo in mezzo agli altri, sceglierà e giudicherà in base a criteri affettivi, al proprio desiderio, e non di tipo cognitivo-causali. Per questo, evidenzia la D'Abbiero, per Sartre non si può dire "faccio una scelta, ma io sono una scelta".
Se è vero che Sartre si muove sempre nell'orizzonte della coscienza, è altrettanto vero che il suo pensiero non si riduce al soggettivismo. Infatti, se la realtà esterna è percepita dalla coscienza sempre come un suo vissuto, la presenza d'altri è quel turbamento che si introduce nell'unità soggettiva del desiderio di sé portandovi frustrazione e dolore. Essa è una presenza che il sé non può escludere né, tanto meno, prescindere, perché si conosce solo attraverso l'altro da sé, nel quale riceve la certezza della presenza di altri.
Ecco così che la certezza di sé e dell'altro da sé si incontrano e scontrano sul problematico e doloroso, per la coscienza, terreno della fatticità, dell'assenza di fondamento, del non essere, un terreno che è quello in cui si muovono desideri ed emozioni.