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Jean Genet, Un captif amoureux, Gallimard, 1986, Paris

Recensioni

 

Jean Genet, Un captif amoureux, Gallimard, 1986, Paris

Ilaria Rigano
Roma, 29 maggio 2001

Il romanzo Un captif amoureux, pubblicato postumo nel 1986 (Genet muore il 15 aprile 1986), ha origine molti anni prima della sua pubblicazione ed è legato all'attiva partecipazione di Genet al movimento delle Pantere Nere negli Stati Uniti, ma soprattutto alla questione palestinese.

Tutto ha inizio alla fine degli anni Sessanta con l'amicizia che nasce fra Genet e Al-Hamchari, il rapresentante a Parigi, dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina (O.L.P). Fra il 1968 e il 1970 Genet entra in contatto sempre più frequentemente con la questione palestinese grazie all'amico che proprio in quegli anni tenta una sensibilizzazione internazionale sull'aggravarsi della situazione dei Palestinesi.

Genet prova una forte attrazione per quel popolo diseredato, emarginato, "déraciné", come lui. L'interesse e il bisogno di affiancarsi alla lotta dei Palestinesi cresce sempre più e questa scelta fu la causa dell'allontanamento da Sartre il quale al contrario parteggiava per Israele. Tuttavia i loro scambi d'opinione, gli scontri e gli attriti sull'argomento non provocarono mai la rottura definitiva della loro amicizia.

Nell'ottobre 1970, in concomitanza con la sua attività di sostegno e denuncia della situazione delle Pantere Nere negli Stati Uniti e dopo aver assistito da Parigi agli avvenimenti del "Settembre nero", Genet parte per raggiungere i Palestinesi con l'amico Al-Hamchari e dal Libano entra clandestinamente in Giordania.

Inizia così il cammino di Genet al fianco dei Palestinesi da cui nascerà quindici anni dopo il suo ultimo libro: Un captif amoureux (Genet comincia a scrivere Un captif amoureux nell'estate nel 1983). Ma questo non sarà che il primo di una serie di viaggi che, intervallati da lunghi periodi passati in Francia, si protrarranno fino ai primi anni Ottanta.

Un captif amoureux ricopre sicuramente un posto particolare nella produzione letteraria di Genet. Innanzi tutto inaugura il ritorno dell'autore sulla scena letteraria dopo una ventina d'anni d'assenza. Anni, questi, in cui Genet si dedica all'attivismo politico, rilascia interviste, scrive articoli, rivisita le sue opere teatrali. Tuttavia non scrive (o comunque non pubblica) nulla di nuovo. Ma questo silenzio altro non era se non l'annuncio di un grande ritorno.

Infatti Un captif amoureux è un'opera diversa dagli altri romanzi, ha una nuova forma e un nuovo stile. È assolutamente scevra da ogni ostentazione di matrice scandalistica tipica degli anni 1940-1960 della produzione letteraria di Genet ed è l'espressione più alta della sua caratteristica prosa poetica.

Ciò che Genet desiderava era presentare al lettore un testo decostruito, estraneo ad ogni tradizionale canone narrativo; trama, personaggi, linearità della narrazione, ecc. Crea così un testo polivante, a più voci, senza limiti di ordine logico. Il tutto rinchiuso nella normale forma del romanzo.

Ma in questa presunta normalità dominano le dinamiche del sogno, che frammentano la narrazione scardinandone dall'interno i significati e insinuano digressioni di ordine psicologico, metafisico, filosofico, immaginifico, mitico, facendo slittare impercettibilmente l'attenzione dall'universo puramente evenemenziale a quello interiore e soggettivo dell'autore.

Passando in rassegna gli avvenimenti storico-sociali delle Pantere Nere negli Stati Uniti e del conflitto arabo-palestinese, e contravvenendo all'originario accordo con Yasser Arafat per cui Genet avrebbe scritto un libro d'impronta storico-politica pro Palestinesi, l'autore riesce a farci penetrare in un mondo che appartiene solo ed eclusivamente a sé. Il tutto scritto secondo le modalità di diversi registri e generi: autobiografico, giornalistico, memorialistico, dialogico, allegorico, epico, ecc.

Scrivendo sui Palestinesi e celebrando la loro leggenda, Genet vuole invece celebrare la propria leggenda, e per far ciò si inserisce a forza in una storia che non gli appartiene, ma di cui si appropria. La rivoluzione dei Palestinesi diventa la rivoluzione dell'uomo Genet, nel tentativo di risanare delle ferite ancora aperte, e dell'autore letterario, permettendoci così di partecipare ad un processo di scrittura "aperto" che definisce un testo nel suo continuo divenire.

In quest'opera Genet racchiude una serie infinita di dimensioni che di volta in volta emergono e si presentano all'attenzione di un lettore disposto a disfarsi delle comuni strategie di lettura e comprensione. Solo così il potenziale lettore potrà individuare la presenza e l'interazione di elementi come il romanzo e la poesia, l'ordine e il disordine, gli avvenimenti storici e l'autobiografia, la nascita e la morte, il necessario e l'arbitrario e molti altri ancora.

In quest'ottica Genet porta a termine un progetto inaugurato con il suo primo romanzo Notre-Dame-des Fleurs: scrivere per fare di sé una leggenda, lasciare di sé una traccia palpitante nella storia, usando lo strumento poetico che perpetua la memoria e sconfigge ogni confine tra ieri, oggi e domani.

L'artificio qui è assunto ad antagonista dell'imperfezione e dell'ingiustizia della vita e il captif amoureux diventa il più trasparente, complesso, poetico, gioioso e il più completo dei suoi libri.

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