
Tesi
Il Captif amoureux di Jean Genet fra negazione della Storia e costituzione di un'altra storia
di Ilaria Rigano
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Nota al testo
Nota biografica
Recensione del Captif amoreux
Gli avvenimenti storico-politici legati agli anni fra il 1970 e il 1984 sono per Genet, ma anche per il mondo intero, estremamente importanti. Nel testo infatti, sono evocati con un'estrema attenzione e precisione tanto da poter essere facilmente rintracciati addirittura nei quotidiani dell'epoca:
En 1971, le premier ministre de Hussein, Wasfi Tall, fut tué-égorgé au Caire je crois par un Palestinien, qui trempa ses mains dans son sang et le but. Il se nomme Abou el-Az. Il est en prison au Liban, détenu par les Kataeb. Le feddai qui me parlait était l'un de ses collaborateurs. Je tairai son nom. Sur le "j'ai bu son sang", rapporté avec dégoût apparent par les journalistes européens, je pensai d'abord à une figure de rhétorique signifiant "je l'ai tué". D'après mon camarade, il aurait vraiment lappé le sang de Wasfi Tall. (1)
Genet qui si trasforma in perfetto cronista fornendo gli aspetti più toccanti
dell'avvenimento. Lo stesso avviene in numerosi altri punti del testo. Oltre
agli avvenimenti, anche moltissimi personaggi pubblici vengono inserirti nell'opera:
Arafat e re Hussein per i Palestinesi, Angela Davis e Bobby Seal per le Pantere
nere, Georges Pompidou, Hitler (2), Giacometti,
Violette Leduc e altri ancora. Ma tali rifermenti attestano un interesse puramente
evenemenziale nei riguardi della storia? Probabilmente no. Pur fornendoci eventi
dettagliati nel loro accadere, la storia e gli eventi stessi subiscono una profonda
trasformazione (3).
Non solo sono immersi nella
"fiction" nella quale Genet li forza a vivere, ma la loro portata storico-politica
viene in qualche modo impoverita e in essi si insinua l'immaginazione. La storia,
quindi, da realtà diventa apparenza di realtà: "Quant à ces deux mots réel et
apparence il y aurait tant à dire" (4). Per Genet
d'altronde tutto ciò che è eccessivamente reale, e forse difficile da "maîtriser",
scivola automaticamente nell'immaginario diventando quindi controllabile. In
quest'ottica la dimensione del reale e quella dell'immaginario sono inseparabili
visto che hanno l'una bisogno dell'altra per esistere. Del resto la tensione
di Genet è sempre proiettata verso l'al di là del reale, verso il suo netto
superamento. Questo sarà anche il suo cammino poetico.
Il ne rêve jamais. Il ne se détourne pas du monde pour inventer des mondes meilleurs, il ne s'abandonne pas aux images, aux songes. Son imagination est une opération corrosive qui s'exerce sur le réel. Il ne s'agit pas de s'évader mais de dépasser la réalité, et de la dématérialiser. […] Imaginer c'est donner à l'imaginaire un bout de réel à ronger (5).
Il trattamento che subisce la storia è piuttosto particolare. Genet concentra
l'attenzione narrativa su tutto ciò che è "restes", dettaglio, e, ampliandone
la portata, lo elegge a centro d'interesse dell'evento raccontato. In questo
modo l'evento originario passa in secondo piano diventando lo sfondo di una
rappresentazione favolosa con la quale è tuttavia in contrasto. Così facendo,
i limiti della rappresentazione letteraria vengono inaspettatamente allargati
e la scrittura della storia messa duramente in discussione con lo scopo di dimostrare
che anche un referente più che reale come la storia può non essere costretto
nei confini del tradizionale "récit historique" (6).
La percezione della storia viene vissuta in modo del tutto soggettivo quasi
ad un livello inconscio, tanto da creare delle zone d'ombra (7).
Ad invalidare ancor di più la dimensione diacronica della scrittura di Genet,
è una serie di slittamenti contenutistici dipendenti dalla prospettiva che l'autore
via via assume nel corso dell'opera. Questi slittamenti la porteranno a stabilizzarsi
su una dimensione che non è quella iniziale. La particolarità del Captif
amoureux, in questo senso, è che ci troviamo ad assistere alla nascita ed
alla crescita di un'opera che prende forma durante il suo corso fino alla conclusione
dove ci viene presentato un testo completamente diverso dall'inizio. Lo sconvolgimento
definitivo di questo equilibrio sia pur altalenante e fragile è causato dall'incontro
di "Hamza", un guerrigliero palestinese, e "sa mère". Tale incontro ha come
conseguenza immediata il risveglio in Genet di una dura e mai risolta realtà
legata all'infanzia. Questo incidente determinerà il punto di vista adottato
dal testo.
Anche se l'aspetto storico-politico rimarrà presente per tutta l'opera,
Genet comincia a capire che la propria presenza fra i Palestinesi non è legata
alla loro rivoluzione. Piuttosto è legata alla rivoluzione che nello stesso
Genet si sta verificando tanto che, innestando la propria storia in quella dei
Palestinesi, egli li espropria della loro rivolta facendola diventare sua:
Mais tant de mots afin de dire: ceci est ma révolution palestinienne récitée dans l'ordre que j'ai choisi. À côté de la mienne il y a l'autre, probablement les autres. (8)
Un tale passaggio fa sì che l'interpretazione esclusivamente politica del testo non abbia più senso, poiché l'oggetto stesso di tale interpretazione si rivela sfumato e suscettibile anche di altri tipi di letture (9). Nella pratica della scrittura ciò avviene con il passaggio della realtà palestinese in secondo piano, facendola ripiombare nell'iniziale atmosfera di sogno dalla quale era stata precedentemente recuperata: "Vouloir penser la révolution serait l'équivalent, au reveil de vouloir la logique dans l'incohérence des images rêvées". (10)
Anche l'autobiografia in questo testo assume un aspetto particolare. Genet
infatti si concentra su due periodi ben definiti e per certi versi ancora irrisolti
della sua vita, l'infanzia e gli anni fra il 1970 e il 1984, cioè la vecchiaia.
Tutta la parte centrale della sua esistenza viene passata quasi sotto silenzio
tranne in alcuni brani dove fa riferimento al servizio militare a Damasco (11),
o al periodo parigino (12). E' proprio nel corso
di questo periodo, che va dai venti ai sessantasette anni circa, che Genet ottiene
quella tanto agognata accettazione da sempre rifiutatagli. Si direbbe che, sistemato
l'aspetto sociale, quindi esteriore, Genet debba dare un ordine a l'aspetto
interiore. Durante il lasso di tempo sopra indicato, l'autore tenta infatti
di liberarsi dal peso della morale "judéo-chrétienne" che l'aveva fino ad allora
irrimediabilmente marchiato. Per far ciò intraprende un capillare lavoro di
riflessione ed autoanalisi(13), coinvolgendo
e allo stesso tempo sfruttando la sua attività di scrittore.
Nel corso del soggiorno palestinese è proprio l'infanzia che, inaspettatamente,
viene rievocata grazie all'incontro della coppia "Hamza et sa mère". Essa risveglia,
nel pieno del suo dolore, quell'antica ricerca della coppia madre-figlio e del
rapporto ad essa legato di cui Genet fu brutalmente privato sin dalla nascita.
"Enfant abandonné", Genet si trova sprovvisto di ogni identità. Per una sola
notte la madre di Hamza diventa sua madre e il letto e la casa di Hamza diventeranno
i propri:
Plus jeune que moi, durant cette action familière - familiale? - elle fut, demeurant celle de Hamza, ma mère. C'est dans cette nuit, qui était ma nuit personnelle et portative, que la porte de ma chambre s'était ouverte et refermée. Je m'endormis.(14)
A partire da questo momento le tematiche del testo cominciano a vacillare e l'autore comincia a mettere in dubbio la validità del suo iniziale disegno letterario:
[…] le sceau de la Révolution palestinienne ne me fut jamais un héros palestinien, une victoire […] mais l'apparition presque incongrue de ce couple: Hamza et sa mère, et c'est ce couple que j'ai voulu car, en quelque sorte, je l'aurais découpé à ma mesure dans un continuum temps-espace-appartenance nationale, familiale, parentale […] car je ne suis plus sûr d'être attentif aujourd'hui aux nuits de la Révolution, comme je l'étais en 1970 (15).
La questione palestinese diventa una "fiction" e Genet uno dei suoi attori.
Con tali presupposti il passaggio del mero dato storico attraverso il filtro
della scrittura diventa una tappa fondamentale. Per due motivi. Per lo scrittore
in quanto indica il tentativo di riordinare, se non la storia palestinese, almeno
la propria. Per il lettore, in quanto gli viene fornita la possibilità di assistere
ad un difficile percorso di rinnovamento effettuato magistralmente su più dimensioni,
quella intima e quella testuale. Questo testo-oggetto diventa così la barriera
(in)visibile tra la vita personale e la vita letteraria.
In questo quadro, dove la storia sociale si trasforma in storia personale, le
scelte linguistico-grammaticali hanno il loro peso. Non a caso l'incessante
alternanza fra presente e passato richiama i concetti di "mémoire" e "souvenirs"
che, in quest'opera, sono dei principî regolatori della narrazione e del suo
ritmo generale. In questo caso però Genet si trasforma in portatore-trasfusore
di una memoria che in tale sede assume un aspetto particolare. Si fa portatore
della memoria storica collettiva occidentale (in Oriente) da cui, volente o
nolente, proviene e da cui, malgrado il suo viscerale rifiuto, è influenzato.
In Oriente sembra cominciare a liberarsi da questo pesante e sgradito fardello
per sostituirlo con uno più piacevole, capovolgendo così i termini e diventando
portatore della memoria storica orientale in Occidente. Del resto anche l'Oriente
subisce lo stesso rifiuto quando Genet si sente in un modo o nell'altro intrappolato
in esso (16). Non esiste nulla per cui il nostro
autore sia definitivamente a favore. In questi passaggi, Genet prende posizione
o, meglio, ribadisce il suo odio per il mondo dei bianchi e contemporaneamente,
per questioni di nascita, il suo essere "couvert par le pouvoir blanc", riconfermando
invece la sua vicinanza al mondo arabo:
B.P.D. - Vous n'avez pas voulu être blanc que je sache?
G. - Ah! dans ce sens, en naissant blanc et en étant contre les Blancs j'ai
joué sur tous les tableaux à la fois. Je suis ravi quand les Blancs ont mal
et je suis couvert par le pouvoir blanc puisque, moi aussi, j'ai l'épiderme
blanc et les yeux bleus, verts, gris.
B.P.D. - En somme vous êtes des deux côtés?
G. - Je suis des deux côtés. Oui.
B.P.D. - C'est une situation qui vous plaît?
G. - En tout cas, c'est une situation qui m'a permis d'apporter la pagaille
chez moi-même (17).
Questo disordine che crea volontariamente intorno e dentro di sé lo spinge
a rifiutare ogni etichetta, in particolar modo letteraria, da quella dell' "archiviste",
a quella dell' "historien".
Un tale rifiuto d'altronde ha come conseguenza logica la perdita della lucidità
d'interpretazione e dell'oggettività necessaria al "récit historique". Così
che il punto di vista e la riflessione soggettiva, dominano il testo spesso
falsificando una realtà data.
Questo procedimento tuttavia va considerato in un'altra ottica che sicuramente
non è quella oggettiva. La sua operazione-presunzione, infatti, è quella di
inserire la propria storia in un avvenimento di portata mondiale come la questione
palestinese. Così facendo promuove la sua persona a personaggio storico di importanza
universale. Questa prospettiva mette seriamente in discussione il significato
dell' "engagement politique", in senso sartriano, del nostro autore. Il suo
lungo soggiorno in Palestina non è fine a se stesso, ma soprattutto non ha come
fine i Palestinesi. Se Genet vi si reca è perché in essi, come nelle Pantere
Nere, l'autore si riconosce e si riflette.
L'opposizione al potere costituito,
il tentativo di riconquista del proprio territorio, la lotta per l'affermazione
e il riconoscimento della propria identità, l'essere socialmente emarginati
e fare di questa emarginazione la propria forza e la propria bellezza, sono
i punti che accomunano i Palestinesi, le Pantere Nere e Genet, apparentemente
diversi e lontani. Dopo essersi lasciato assorbire dagli avvenimenti, Genet
li assorbe e li riunifica in se stesso, assumendosi a rappresentante unico dell'universo
rivoluzionario degli anni Settanta. Ma questa comunanza quanto durerà?
G. - Écoutez: le jour où les Palestiniens seront institutionnalisés,
je ne serai plus de leur côté. Le jour où les Palestiniens deviendront une nation
comme une autre nation, je ne serai plus là.
[…]
R.W. - Et vos amis palestiniens le savent et l'acceptent?
G. - Demandez-leur. (18)
Con la scrittura in generale, e in modo particolare con quella del Captif
amoureux, il nostro autore tenta di recuperare le opportunità perse in gioventù.
Interpretando un ruolo creatogli a pennello da una società che lo aveva eletto
capro espiatorio delle proprie imperfezioni morali, Genet si trova preso, o
perso, che dir si voglia, nella pratica del male, unica forma di bene da lui
conosciuta. È un "paria", fa parte della schiera dei "maudits" e da tale si
comporta, da tale scrive. E se nei suoi primi romanzi la celebrazione e la magnificazione
del suo stato erano l'unica possibilità di riscatto, qui egli si trova a dover
cambiare i termini della magnificazione.
Questa tendenza alla magnificazione
quindi è un tratto costante della sua vita e delle relazioni con il mondo esterno
ed i suoi giudizi. Ed è proprio da questi ultimi che Genet tenta di sottrarsi
nella creazione di un'immagine favolosa di se stesso:
Ma vie était ainsi composée de gestes sans conséquence subtilement boursouflés en actes d'audace […] ma jeunesse de voleur et de prostitué ressemblait aux autres jeunesses qui volent, se prostituent en actes ou en rêve; ma vie visible ne fut que feintes bien masquées. (19)
Incapace di esistere o semplicemente di pensare la propria esistenza in uno
spazio e un tempo reali, egli si traveste, si nasconde, si ingigantisce dietro
e dentro le parole, murandosi vivo nel palazzo della creazione "fictionnelle" (20). Magico, favoloso, martire e sottilmente
commediante, Genet è comunque artificioso sia nel male, "voleur", che nel bene.
Ciò che vuole fare è lasciare una traccia di se stesso nello spirito della gente.
Più questa traccia è profonda e indelebile nel lettore, più essa lo è anche
in lui. Genet cioè, continua a riflettersi e a pensarsi nell'immagine di se
stesso che crea nei suoi libri e che trasmette alla gente. Genet quindi tenta
il passaggio ai posteri. Cerca di forzare l'ingresso alla "mémoire". Nel concetto
di "mémoire" d'altronde è insito quello di "souvenir". Quest'ultimo è per eccellenza
lo strumento di cui la memoria fa uso nell'evocazione di avvenimenti, persone,
sensazioni, ecc.
Nel Captif amoureux l'idea del "souvenir", e il relativo
referente linguistico, dominano la scena. I ricordi più intimi come la verità
più intima e la scrittura sono composti da più strati che non permettono una
spontanea fuoriuscita della verità. In quest'ottica la scrittura diventa uno
schermo esistenziale dietro cui nascondersi creando una fitta rete di immagini
alternative per depistare il lettore ma anche se stesso, da un'univoca interpretazione
della verità.
Questo schermo che per Genet ha un carattere eminentemente occultante e deformante
riflette una verità particolare. Essa non è più un'idea definibile nel senso
comune, non è più scontata, affidabile, visto che il suo significato primo è
stato totalmente sovvertito. Ciò malgrado, nel Captif amoureux si aprono
degli spiragli dai quali l'autore ci permette di entrare, se pur con certi limiti,
in delle realtà personali fino ad allora latenti ma mai esplicitate. L'atto
del "dévoilement" tuttavia non ci deve indurre a interpretare il testo come
una confessione delle sue pene infantili e giovanili.
Svelandosi, Genet in un
certo senso si tradisce e il tradimento per lui consiste nel dire la "vérité":
"Avant de l'écrire je m'étais juré de dire toute la vérité dans ce livre" (21).
Del resto quali garanzie ci vengono fornite sulla sincerità delle sue affermazioni?
Probabilmente nessuna se non per il fatto che servendosi del tradimento nell'atto
di svelare la sua identità, l'autore intraprende un(o) (s)mascheramento "autofictif"
del proprio destino. Anche in quest'ultimo scritto l'autore si diverte a farci
giocare sul filo della verità sapendo bene che la struttura originale e profonda
della sua sensibilità risiede nell'impossibilità altrui di distinguere ciò che
lui sente da ciò che finge di sentire (22).
Inizio pagina ^
1. J. Genet, Un captif amoureux , Paris, Gallimard,
1986, p. 21 Testo ^
2. Il riferimento ad Hitler ricorda uno dei suoi ultimi romanzi, Pompes
Funèbres , dove uno dei personaggi è la rappresentazione simbolica di Hitler. Pompes Funè bres è stato composto nel 1944 e pubblicato clandestinamente
per la prima volta da Gallimard nel 1947 Testo ^
3. Cfr. il brano sui massacri di Chatila e Sabra, Un captif amoureux , cit., pp. 53-54 Testo ^
4. Ivi., p. 48 Testo ^
5. J.-P. Sartre, Saint Genet comédien et martyr , in Jean Genet, Œuvres Complètes I, Paris, Gallimard, 1952, pp. 22-23 Testo ^
6. Patrice Bougon, Un captif amouerux ," L'infini ", n° 22, 1988,
Gallimard, pp. 109-126 Testo ^
7. Un captif amoureux , cit., pp. 14-15-16, 53-54 Testo ^
8. Ivi., p. 416 Testo ^
9. Patrice Bougon, op. cit., p. 116 Testo ^
10. Un captif amoureux , p. 416 Testo ^
11. Ivi., p. 453 Testo ^
12. Ivi., pp. 188-189, 197 Testo ^
13. Di cui il Captif amoureux è una valida ed inedita testimonianza.
Vedere a tal proposito i brani alle pp. 205-207, 260, 347-348, 411-412, 447-478,
e molte altre ancora Testo ^
14. Ivi, op. cit.,p. 231. I corsivi sono nostri Testo ^
15. Ivi, op. cit., pp. 242-243 Testo ^
16. Arafat nel loro unico incontro gli chiese di scrivere un libro sulla
questione palestinese. Sarà il captif amoureux che, d'altronde, non può essere
considerato un "réportage" fedele o un atto di denuncia. Altrove gli viene offerta
per qualche tempo una casa che aveva notato ed immediatamente amato. L'offerta
causò in lui l'immediato rifiuto e disprezzo della casa stessa Testo ^
17. J. Genet, L'Ennemi déclaré , Œvres Complètes VI, Paris,
Gallimard, 1991, p. 238 Testo ^
18. Ivi, p. 282 Testo ^
19. Un captif amoureux , p. 205 Testo ^
20. Sartre aveva capito tutto ciò e l'aveva detto o meglio scritto nel Saint Genet comédien et martyr, testo profondamente disprezzato da Genet,
proprio perchè troppo vero Testo ^
21. Un captif amoureux , p. 503 Testo ^
22. Jean-Paul Sartre, p. 156 Testo ^
Inizio pagina ^
Nota al testo
L'articolo che segue è la rielaborazione di un capitolo della Tesi di Laurea: La scrittura come schermo. "Il captif amoureux" di Jean Genet., di Ilaria
Rigano. Tesi discussa presso l'Università degli Studi Roma III, Facoltà di Lettere
e Filosofia, Corso di Laurea in Lingue e Letterature Straniere. Anno Accademico
1996/1997.
Lo studio, dal quale è stato estratto l'articolo, concentra la propria attenzione
sulla tesi che nel captif amoureux Genet usi la scrittura come se fosse
uno schermo. Dietro quest'ultimo l'autore si nasconde e si fa creatore di una
miriade d'immagini nel tentativo di ostacolare il lettore nel raggiungimento della
verità. Verità che non riguarda gli aspetti sociali della vita del nostro autore,
ma gli aspetti della propria intimità.
In quest'ottica Genet crea un'opera complessa
dove, all'interno di una struttura dominata dal movimento in avanti e indietro
nel tempo e nello spazio, si possono rintracciare più livelli interpretativi.
Il primo riguarda l'aspetto storico-politico dell'opera legato alle rivolte delle
Pantere Nere negli Stati Uniti e dei fedayin in Palestina. Tuttavia questa lettura
ad un'analisi più approfondita risulta essere ingannevole. Infatti la dimensione
che sotto questo primo aspetto si nasconde è quella autobiografica.
Il secondo
livello interpretativo riguarda proprio la dimensione autobiografica dell'opera
che la caratterizzerà a tal punto da cambiarne l'orientamento. In più la perenne
presenza di Genet nel racconto porterà a continue digressioni di carattere interiore
tanto che l'iniziale impostazione storica sarà completamente soppiantata, pur
continuando ad essere presente in minima parte e ad interagire con un'impostazione
di carattere soggettivo.
Il terzo e ultimo livello concerne sulla tecnica di scrittura
di Genet e i meccanismi che definiscono l'avanzamento narrativo che in Genet sembra
del tutto incontrollato, dando vita ad una narrazione altamente incoerente. Il
tutto basato sul lavoro della memoria che fa riemergere i ricordi non cronologicamente
ordinati, ma in base alla libera rievocazione delle immagini.
La scrittura infatti
assume un posto di rilevo per Genet e il modo di elaborarla e di scriverne la
fa diventare il terzo grande protagonista di quest'opera (dopo le Pantere Nere,
i fedayin e Genet stesso). L'aspetto di maggiore interesse è il rapporto che la
scrittura intrattiene con la realtà che viene stravolta e trasportata nell'immaginazione.
Così facendo Genet ci da una chiara dimostrazione di come il lavoro della scrittura
sulla scrittura e sul reale può, da un mondo dato, crearne un altro basato sull'immaginazione.
Questo lavoro tuttavia prevede un rapporto piuttosto trasgressivo con la lingua
le cui potenzialità semantiche e sintattiche vengono sfruttate al massimo per
creare un nuovo tipo di linguaggio che oltrepassi le normali leggi della comunicazione.
Queste tre dimensioni, lungi dal rimanere isolate, vengono sovrapposte in un sofisticato
gioco narrativo che ha come risultato una narrazione fortemente anomala e niente
affatto lineare. Visti in questa prospettiva, tutti e tre i filoni sono in realtà
delle storie.
Quella dei palestinesi e delle Pantere Nere, quella personale di
Genet legata agli avvenimenti e agli incontri effettuati in Palestina e quella
del testo che, essendo la storia dell'evoluzione narrativa in Genet, è legata
anch'essa a quella autobiografica e indirettamente a quella diacronica. Così organizzato
il captif amoureux ci pone di fronte ad una nuova realtà letteraria che
mettendo profondamente in discussione i concetti tradizionali di verità, storia,
scrittura, lingua, significato, memoria, ricordo, spazio, tempo, genere letterario
ed altri ancora, rivoluziona anche quello di lettura mettendo a dura prova il
lettore.
La scelta di estrarre da questo studio il brano che analizza il rapporto
che Genet intrattiene con la storia è stata dettata dalla convinzione che uno
degli aspetti più interessanti della narrativa di Genet sia proprio la sua capacità
di scardinare la storia tradizionalmente intesa per poi ricostruirne un'altra
a propria immagine e somiglianza.
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Nota biografica
JEAN GENET (Parigi 1910-1986)
1910-1915 Jean Genet nasce il 19
dicembre 1910 da Camille Gabrielle Genet di ventidue anni e nubile. Il padre
è sconosciuto. Nell'estate 1911 Genet viene abbandonato all'orfanotrofio statale.
Il 30 luglio 1911, pupillo dell'Assistenza Pubblica Genet viene affidato ai
Régnier, una famiglia di artigiani del paese Alligny-en-Morvan. Viene battezzato
e riceverà una solida educazione cattolica.
1916-1923 Nel settembre 1916 viene ammesso nella scuola comunale dove si distinguerà come scolaro migliore della sua classe. Ma la derisione dei compagni e l'essere additato come trovatello lo feriscono. In questo periodo Genet comincia a rubacchiare degli oggetti a scuola ma anche dei soldi ai suoi genitori adottivi. Nel giugno 1923 ottiene la licenza elementare con i voti più alti del suo comune. Tuttavia la sua carriera scolastica si conclude qui e Genet non riceverà nessun insegnamento di livello superiore.
1924-1929 Genet dà il via alla serie di fughe e passaggi da un istituto di correzione ad un altro che lo porteranno, nel marzo 1926, alla sua prima carcerazione nel penitenziario Petite-Roquette. Il 2 settembre 1926 Genet è affidato alla Colonia penitenziaria agricola di Mettray, capitale del suo universo immaginario a cui il romanzo Miracle de la rose, come molti altri scritti, è interamente dedicato.
1929-1935 A diciotto anni si arruola nell'esercito, dove con una serie di intervalli rimarrà per sei anni. In questo periodo Genet avrà i primi contatti con il mondo arabo al quale, durante tutta la sua vita, rimarrà profondamente attaccato. Nel 1933 incontra per la prima volta André Gide.
1936-1937 Il 18 giugno Genet diserta l'esercito cominciando un anno di spostamenti e vagabondaggi in giro per l'Europa di cui il romanzo Journal du voleur 1949 costituisce un'importante testimonianza.
1942 È l'anno della consacrazione di Genet scrittore. Nella prigione della Santé comincia la redazione del suo primo romanzo Notre-Dame-des-Fleurs. Qualche tempo più tardi in quella di Fresnes scrive il poema Le Condamné à mort.
1943 A febbraio Genet viene presentato a Jean Cocteau che dopo un primo momento di sgomento per la lettura di Notre-Dame-des-Fleurs comprende l'importanza del romanzo e si impegna per farlo pubblicare. A marzo Genet firma il suo primo contratto con Paul Mohirien. Genet già lavora al suo secondo romanzo Miracle de la rose. Per un ennesimo furto, quello del libro Les Fêtes galantes di Verlaine, Genet rischia l'ergastolo, ma Cocteau, affidando la causa ad un grande avvocato, riesce a far ridurre la pena a tre mesi di prigione. Poco dopo la sua liberazione, Genet commette un altro furto di libri. Questa volta la situazione precipita, tanto che Genet rischia la deportazione. Ma Cocteau ancora una volta lo salva e, il 14 marzo 1944, Genet esce di prigione e questa volta definitivamente.
1944-1948 A maggio Genet fa la conoscenza di Jean-Paul Sartre. Il 19 agosto, Jean Decarnin, giovane appartenente alla Resistenza e amante di Genet, viene ucciso. Il mese successivo Genet comincia la redazione del suo terzo romanzo Pompes Funèbres, in memoria del suo amante. Nel marzo 1945 Pompes Funèbres è terminato e Genet dà il via al suo quarto romanzo Querelle de Brest. Una raccolta di poesie, Chants secrets, appare nella rivista "L'Arbalète", dove l'anno seguente apparirà Miracle de la rose. Nel 1946 Genet scrive il suo quinto romanzo Journal du voleur. Compone il poema le Pécheur du Suquet, riscrive un vecchio lavoro teatrale Haute surveillance, e lavora ad un'altra opera teatrale, Les Bonnes. Pubblica un altro poema La Galère. Vengono pubblicati clandestinamente Pompes Funèbres e Querelle de Brest e nel 1948 "L'Arbalète" pubblica la raccolta dei Poèmes. Sempre nel 1948 Genet scrive l'opera teatrale Splendid's e un testo radiofonico L'Enfant criminel, la cui diffusione sarà vietata, mentre Gallimard pubblica Journal du voleur.
1949-1954 Genet ottiene la grazia dal presidente della repubblica per una serie di pene che gli rimanevano da scontare. Gallimard dà il via alla pubblicazione delle Œuvres complètes di Genet mentre lui entra in un lungo periodo di crisi e di silenzio letterario che durerà circa sei anni. Le cause di questa crisi sono da rintracciare nella grazia concessagli, che lo separava definitivamente dall'universo carcerario che tanto aveva alimentato la sua fantasia di scrittore e nell'opera monumentale scritta da Sartre nel 1952, Saint Genet comédien et martyr, che diventerà il primo volume delle Œuvres Complètes di Jean Genet edite da Gallimard, e lo renderà celebre in tutto il mondo mettendo a nudo lati intimi della sua persona, fatto quest'ultimo che finì per inibirlo profondamente. In questi anni Genet viaggia molto ma gira anche un corto metraggio nel 1950 Un Chant d'amour, e scrive due sceneggiature, Les Rêves intérdits e Le Bagne. Come produzione letteraria in questi anni Genet si limita ad un solo testo Fragments.
1955-1957 Nel 1955 la sua vena letteraria ricompare e il teatro diventerà il grande amore di Genet. Nel 1955 tre opere teatrali come Le Balcon, Les Nègres e Les Paravents, lo consacrano uno dei grandi drammaturghi contemporanei. Sempre nel 1955 Genet conosce Abdallah, un acrobata, e fra i due nasce quella che per Genet sarà la relazione amorosa più importante. Ad Abdallah Genet dedica il saggio Le Funambule. In questi anni stringe una forte amicizia con l'artista Alberto Giacometti al quale nel 1957 dedicherà uno dei suoi saggi più importanti, L'Atelier di Alberto Giacometti. Viaggia molto con Abdallah seguendolo nei suoi spettacoli circensi.
1961-1967 È del 1961 la pubblicazione di Les Paravents presso "L'Arbalète". Sarà l'ultima opera pubblicata da Genet fino al giorno della sua morte. Nel 1964 Abdallah si suicida. Genet distrutto dall'evento, distrugge i manoscritti delle sue opere, rinuncia alla letteratura, redige un testamento e sparisce. Nel 1966, l'opera Les Paravents viene messa in scena provocando delle manifestazioni e uno degli scandali più grandi della storia del teatro. Alla fine del maggio 1967 Genet viene trovato privo di sensi nella sua camera d'albergo a Domodossola a causa dell'ingerimento di una notevole quantità di sonnifero.
1967-1972 Sono gli anni di una lenta e lunga rinascita, caratterizzati da viaggi in Estremo Oriente, in Giappone, a Londra, a Chicago e dalla partecipazione di Genet ai movimenti rivoluzionari, come il Sessantotto parigino. Nel giugno 1968 Genet approda per la prima volta negli Stati Uniti e si schiera contro la guerra del Vietnam. Di ritorno a Parigi sostiene i lavoratori immigrati difendendone, insieme a Sartre, Duras e Foucault, il diritto a condizioni di vita dignitose. Il 1970 è l'anno politico per Genet. Ritorna negli Stati Uniti per affiancare e sostenere il movimento per il riconoscimento dei diritti politici e civili della popolazione di colore, le Pantere Nere. Per due mesi le segue ovunque vivendo con loro e come loro, tenendo conferenze nelle università e di fronte ai giornalisti per ottenere la liberazione dei leaders delle Pantere nere. A luglio scrive il suo testo più importante sulle Pantere nere, Les Frères de Soledad. Nell'ottobre dello stesso anno insieme con un responsabile palestinese Genet si reca in Giordania per visitare i campi palestinesi. Doveva restare otto giorni. Restò sei mesi. Lì incontra segretamente Yasser Arafat che gli fornisce un lasciapassare e gli affida il compito della diffusione e della testimonianza della questione palestinese. Tra il 1971 e il 1972 torna tre volte in Giordania ma sospettato di essere un agitatore viene espulso dal paese.
1972-1979 Privato del visto per gli Stati Uniti e cacciato dalla Giordania, Genet ripiega a malincuore sulla Francia. Inizia la redazione di un'opera sui Palestinesi e sulle Pantere nere, che però vedrà la luce solo dieci anni più tardi. Malgrado la sua notorietà fosse orami affermata e malgrado l'incontro con El Katrani, suo ultimo amante, questi anni sono caratterizzati da un profondo scoraggiamento. Accantona a più riprese la redazione del libro e si dedica alla realizzazione, mai portata a termine, di sceneggiature. Nel maggio 1979 scopre di avere il cancro alla gola e subisce un trattamento che lo indebolisce notevolmente.
1982 Dal marzo 1982 il Marocco diventerà gradatamente il luogo di residenza degli ultimi anni della vita di Genet. Nel settembre 1982, Genet riparte per il Medio Oriente dove il 16 e il 17 settembre si verificano i massacri di Sabra e Chatila. Genet sarà il primo europeo che il 19 settembre, all'indomani dei massacri, entrerà nei campi disseminati di cadaveri. Scioccato torna a Parigi dove ad ottobre redige il suo articolo politico più importante Quatre heures à Chatila, pubblicato nel gennaio 1983 nella "Revue des études palestiniennes". Quest'avvenimento segnerà il ritorno di Genet alla scrittura. A dicembre Fassbinder presenta, al festival del cinema di Venezia, il film Querelle tratto dal romanzo di Genet Querelle de Brest.
1983-1986 Nel luglio 1983 Genet,
a partire da appunti presi durante tredici anni, inizia la redazione del suo
ultimo libro Un Captif amoureux. A dicembre riceve il Grand Prix nazional
des Lettres. Nel luglio 1984 torna un'ultima volta in Giordania per rivedere
i luoghi e i personaggi che descrive nel suo libro. A novembre termina la redazione
di Un Captif amoureux. Nel 1986 dopo aver corretto le prime bozze del
libro torna per l'ultima volta in Marocco. Al suo ritorno a Parigi si stabilisce
in un alberghetto dove inizia la correzione delle seconde bozze del suo romanzo,
ma muore nella notte fra il 14 e il 15 aprile per una caduta. Viene sepolto
in Marocco nel cimitero spagnolo di Larache. Un Captif amoureux esce
presso Gallimard nel maggio del 1986, un mese dopo la morte di Jean Genet.
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